IL SECONDO INCONTRO DI QUARESIMA A POVOLARO

La scorsa settimana, presso la nostra chiesa parrocchiale, d.Pierangelo Ruaro ha tenuto il secondo incontro del ciclo di quattro incontri del Tempo di Quaresima per la nostra unità pastorale.

LA PASQUA FONDAMENTO DELLA FEDE

Qual è il motivo per cui qualche anno fa Benedetto XVI° ha voluto indire l’anno della fede? E, successivamente, papa Francesco l’anno della misericordia?

Entrambi l’hanno spiegato utilizzando la stessa immagine: il deserto.

Benedetto ha affermato che il tempo che stiamo vivendo è segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. In questi decenni è avanzata la “desertificazione” spirituale.

Papa Francesco, ha aggiunto che la cultura dei nostri giorni ha dimenticato le forme di perdono che sono alla base del vivere personale e sociale. E senza la testimonianza del perdono rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato.

E’ facile parlare di ricerca di Dio, ma quale Dio di fatto cerchiamo? Quale Dio annunciamo, quale Dio viviamo?

La domanda si fa ancora più impegnativa se la applichiamo ad alcuni temi di attualità come per esempio la questione circa l’immigrazione.

Come ci poniamo noi cristiani di fronte a questo tema? Oggi sappiamo che si tratta di un tema tirato da una parte e dall’altra a fini elettorali, e non voglio certamente entrare nel merito.

Ma se, come dice il papa, per noi questo è un segno dei tempi; è un modo attraverso il quale noi oggi incontriamo Dio (ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca), allora quantomeno noi cristiani non possiamo partire dall’idea che queste persone costituiscono anzitutto un pericolo.

Sono sicuro che non tutti sono d’accordo con queste affermazioni, ma è proprio questo che ci obbliga a chiederci: di quale Dio stiamo parlando? Perché il Dio che Gesù ci ha fatto incontrare è il Dio della tenerezza e della misericordia che ci chiede di essere come lui misericordiosi verso gli altri.

Questo è esattamente ciò che i giorni della Pasqua celebrano.

Il triduo Pasquale ci fa andare al cuore della fede cristiana, espressa raccontata, condivisa proprio attraverso riti e preghiere, che sono diversi dagli altri che compiamo durante l’anno. Questi giorni sono la grande Porta della Misericordia «dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza» (MV 3). Misericordia non è solo l’amore di Dio; ma è l’amore in eccesso; oltre ogni nostra logica, e quindi un amore che può dare fastidio al nostro abituale modo di pensare.

La Pasqua, celebrata in tre giorni, è il punto più alto di tutto gli appuntamenti che la comunità cristiana vive nell’ambito dell’anno liturgico.

è il momento in assoluto più importante della vita della Chiesa; il momento in cui essa rivela a tutti il suo messaggio attraverso il linguaggio particolare dei simboli liturgici. La Pasqua è l’annuncio solenne della “bella notizia” che Cristo è risorto. E questo è esattamente il compito, la missione di una comunità cristiana: dare al mondo l’annuncio che Cristo è risorto e che il male e la morte sono stati sconfitti.

 

2) LA SETTIMANA SANTA

Come primo passaggio proviamo a capire come è andato formandosi il Triduo e che cosa in esso celebriamo.

Facendo un cammino a ritroso, prima che si formasse il Triduo la Pasqua veniva celebrata nella sua totalità di morte e risurrezione di Cristo nella notte di Pasqua. A sua volta la festa di Pasqua nasce scegliendo una delle domeniche dell’anno liturgico. In altre parole la vera origine di tutto sta nella domenica, che nei primi secoli era l’unica festa celebrata: bastava questa, perché questa è la festa che celebra l’essenziale della fede cristiana: che, cioè, Cristo è risorto.

Nel prossimo incontro rifaremo questo cammino in avanti: dalla domenica ad una domenica scelta come pasqua; dalla pasqua celebrata nella notte tra il sabato e la domenica alla pasqua celebrata in tre giorni. Stasera guardiamo più in generale la settimana santa e da vicino la domenica delle Palme.

Non soltanto la Veglia o il Triduo pasquale, ma tutto l’insieme dei giorni della Settimana Santa, dai primi vespri della domenica delle Palme ai secondi vespri della domenica di Pasqua, hanno un carattere di culmine dell’anno liturgico: è la grande Settimana dei cristiani.

Fin dal primo giorno della quaresima (orazione per la benedizione delle ceneri) si fa una chiara allusione alla Quaresima come un itinerario la cui meta  è costituita dalle celebrazioni straordinarie della Settimana Santa; e nella mozione iniziale della benedizione dei rami nella domenica delle Palme si dice: «Questa assemblea liturgica è preludio della Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall’inizio della Quaresima. Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione».

Non solo la Settimana Santa è una celebrazione culmine, ma è anche una celebrazione con riti inusuali, che richiedono canti particolari e straordinari.

Per far questo ci vuole una preparazione diversa da quella messa in atto negli altri momenti dell’anno, diciamo più intensa e più “specializzata”.

Se in quaresima, per dire, raggiungiamo il livello tre, la Settimana Santa deve raggiungere il livello sei, come investimento di forze e come lavoro di preparazione.

Per preparare le celebrazioni della Settimana Santa, e del triduo in particolare, bisogna aver chiara anzitutto la gerarchia delle diverse celebrazioni.

Il motivo è presto detto: se (per esempio un coro) si preparano le celebrazioni in ordine cronologico, succede quasi sempre che il tempo viene occupato tutto per preparare la domenica delle palme e la messa del Giovedì santo. Per l’azione liturgica del venerdì santo e per la Veglia Pasquale rimane poco o addirittura nessun tempo.

E’ importante, invece, che, sia per l’apprendimento dei canti che per la preparazione dei riti, si adotti non il criterio cronologico ma quello gerarchico e teologico. La preparazione deve iniziare sempre con le celebrazioni e con gli elementi più significativi. La gerarchia delle celebrazioni dovrebbe essere la seguente: si inizia, ovviamente, con la Domenica di Pasqua (Veglia pasquale e Messa del giorno), poi proseguire con il Venerdì Santo, la Domenica delle Palme e per ultima la Messa vespertina del Giovedì Santo.

 

LA DOMENICA DELLE PALME

In oriente, a Gerusalemme, in questa domenica già verso l’anno 400, si ricordava l’ingresso dì Gesù in quella città e lo si riviveva attraverso una processione vespertina che dal monte degli ulivi scendeva fino al S. Sepolcro, al luogo della risurrezione. Da Gerusalemme la processione si diffuse in tutta la chiesa orientale.

A Roma, invece, nella stessa epoca, la domenica che precedeva il triduo pasquale era caratterizzata dalla lettura della passione.

 Se andiamo a leggere cosa scrive il messale romano di questa festa, vi troviamo un doppio titolo: questa domenica è chiamata «Dominica in palmis seu De passioni domini». È la testimonianza che nella Chiesa di Roma le due tradizioni (Gerusalemme e Roma) si sono fuse in un unico rito verso la fine del X secolo.

 Cosa celebriamo?  L’ingresso di Gesù a Gerusalemme: egli viene per farle dono della vita.

 La celebrazione di questa domenica è quindi composta di due momenti ben distinti:

– la commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme          e

– la celebrazione dell’Eucaristia con la lettura della passione del Signore.

Per ovvi motivi la prima parte di questa celebrazione è quella che caratterizza maggiormente questa domenica fra il popolo cristiano che la conosce appunto come la «Domenica delle Palme».

Se gli elementi visivi (processione con i rami di ulivo e di palma) rimandano all’evento storico narrato dai Vangeli (l’ingresso trionfale di Gesù nella città santa), la liturgia della Chiesa non intende affatto allestire semplicemente una specie di rappresentazione teatrale.

Come in tutte le altre celebrazioni del culto cristiano, anche in questo rito d’apertura della Settimana santa i gesti, le cose, le parole hanno soprattutto un significato simbolico che va oltre il semplice ricordo del fatto storico. Tutti questi elementi visibili intendono infatti esprimere soprattutto una realtà spirituale che si rende presente e operante oggi, qui, per noi.

 

Dalla Gerusalemme terrestre alla Gerusalemme del cielo

 In tutti e quattro i Vangeli la vita di Gesù è presentata come un cammino verso Gerusalemme, la città di Dio, dove il Messia dovrà portare a compimento la sua missione su questa terra.

Ma è soprattutto nel Vangelo secondo Luca che questo itinerario verso Gerusalemme diventa la struttura portante di tutto il racconto: «È necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33). Anche durante la trasfigurazione viene ribadita questa meta: «Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31). Ed è proprio verso la fine del suo viaggio, poco prima del trionfale ingresso nella città santa, che Gesù afferma ancora: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo» (Lc 18,31).

 In breve, Gerusalemme nel disegno di Dio non è semplicemente un luogo geografico, ma un simbolo: il simbolo della nuova città di Dio che è la sua Chiesa, la quale a sua volta è segno e caparra dell’eterna città del cielo, costituita da tutti coloro che avranno accolto Cristo e il suo Vangelo, da tutti coloro che avranno saputo seguire l’agnello di Dio già su questa terra, partecipando alle sue sofferenze per fare della propria vita un’offerta d’amore.

Questa fede della Chiesa è cantata in particolare dal libro dell’Apocalisse, specialmente negli ultimi due capitoli, a conclusione di tutta la Scrittura, come ultimo e luminoso messaggio di Dio:

«E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono e diceva: Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio-con-loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate… Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 21,2-4; 22,5).

 Alla luce di questo messaggio che ci viene dalla Scrittura, la celebrazione della Domenica delle Palme diventa una precisa professione di fede nei confronti di questa nostra esistenza terrena quale itinerario verso la Gerusalemme del cielo.

È questo il significato profondo della processione nella domenica delle Palme. Si tratta di unirci a Cristo, di seguirlo insieme con i suoi martiri e con i suoi santi di ieri, di oggi e di sempre, per entrare con lui nella città di Dio, passando attraverso il mistero della croce, il dono di sé.

È con questa consapevolezza che ogni cristiano deve partecipare alla processione, per quanto possibile, o farne comunque memoria portando fra le mani il ramo di ulivo o di palma e partecipando soprattutto all’Eucaristia di questo giorno, senza lasciarsi fuorviare da altri elementi folcloristici o tradizionali che sovente offuscano l’autentico significato del rito cristiano.

Per la fede cristiana Gerusalemme è luogo in cui contemplare il mistero del Signore e verificare su di esso la propria situazione: da che parte sono? con il Maestro fedele alla volontà del Padre sino alla donazione di sé, o con i suoi avversari aggrappati alle proprie sicurezze da salvare ad ogni costo anche condannando l’innocente?

La Chiesa si interroga, come comunità e come singoli fedeli, per rettificare il cammino su quello percorso da Gesù. Infatti (pensiamo a domenica scorsa) si giunge alla settimana santa partendo dal deserto delle prove e delle scelte: Gesù ha detto no al tentatore, e ha affermato di seguire la parola del Padre.

 

La processione  La processione di questa domenica è, per antichità e per simbolismo, la madre di tutte le processioni. Ogni altra processione, comprese quelle devozionali che da alcuni secoli si fanno in onore di Maria o di qualche santo, dovrebbe essere interpretata alla luce di questa processione originaria.

Essa, infatti, esprime l’ingresso trionfale del Risorto in quella città che è simbolo della Gerusalemme del cielo. Un ingresso che il Risorto non fa da solo ma con i suoi discepoli, con quanti, cioè, ieri come oggi, lo riconoscono come il Messia, colui che viene nel nome del Signore.

Per questo motivo la processione diventa molto importante, più ancora del ramo di ulivo o di palma, perché non è semplicemente ricordo storico ma esprime il cammino della Chiesa oggi sulle orme del Cristo crocifisso e risorto. «La processione sia una soltanto e fatta sempre prima della messa con maggiore concorso di popolo, anche nelle ore vespertine, sia del sabato che della domenica» (FP 29).

 Perché una sola processione in questo giorno e non una a tutte le messe? Proprio perché intende esprimere l’unità e l’unicità della Chiesa, del popolo di Dio in cammino verso la Gerusalemme del cielo. Per quanto è possibile i cristiani sono chiamati a esprimere anche visibilmente di formare un solo corpo nel Signore. Non si tratta quindi in questo giorno di andare a prendere semplicemente un ramo di ulivo o di palma; si tratta di esprimere la natura e la missione della Chiesa.

«Se non è possibile fare la processione fuori della chiesa, l’entrata del Signore si celebra all’interno della chiesa con un ingresso solenne prima della messa principale.» (MR p. 120).

Tanto è importante il significato della processione nella Domenica delle Palme che un ingresso particolarmente solennizzato è proposto anche per tutte le altre messe con una dignitosa partecipazione di popolo.

In breve, la liturgia si preoccupa di dare inizio alla Settimana santa con un gesto forte che risvegli l’attenzione e la disponibilità, poiché il Signore sta per offrire ai suoi fedeli un particolare momento di grazia.

 

L’ulivo Noi usiamo l’ulivo ma dovremmo parlare di palma, come ci ricorda il nome stesso di questa domenica. La palma è un albero prezioso che produce gustosi frutti e con le sue ampie foglie dona ombra e riparo dal sole cocente. Per questo nella Bibbia viene ricordata sempre con significati positivi: di prosperità, «il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano» (Sal 92,13) o di bellezza, «quanto sei bella e quanto sei graziosa, o amore, figlia di delizie! La tua statura rassomiglia a una palma» (Ct 5,11; 7,7-8).

I suoi rami venivano portati come segno di vittoria e venivano anche utilizzati per ricevere le persone importanti. Questo spiega perché Gesù stesso, entrando in Gerusalemme, è stato accolto dalla folla festante che portava rami di palme.

Attraverso il segno delle palme, o più semplicemente (dato che la palma non è una pianta delle nostre terre) dei rami d’ulivo, fin dall’inizio della settimana santa noi celebriamo la vittoria della croce di Gesù: «Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani» (Ap 7,9).

 Dobbiamo fare il possibile per evitare che l’ulivo si riduca ad un semplice amuleto benedetto.

Come tutti i simboli cristiani, anche l’ulivo trova il suo pieno significato in relazione alla assemblea liturgica. Sono i pagani che hanno degli oggetti sacri ai quali attribuiscono dei poteri magici indipendentemente da ogni relazione con una comunità di culto. Il ramo di ulivo è segno visibile di adesione interiore a Cristo e alla sua Chiesa, di sequela del vangelo.

Solo all’interno della celebrazione liturgica l’ulivo diventa simbolo cristiano di comunione e di fede. Senza relazione alla comunità cristiana di culto, l’ulivo diventa un talismano, un segno di religiosità, ma non un simbolo cristiano.

I rami di ulivo non sono dei portafortuna, ma sono segni rituali, cioè simboli in funzione di un rito ben preciso. Soltanto di riflesso, in relazione a quel rito, essi diventano segno del nostro rapporto di fede con Dio anche all’interno delle nostre case, come pure diventano un continuo richiamo a vivere secondo la sua Parola, come è bene espresso da una delle due preghiere previste per la loro benedizione:

«Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te, e concedi a noi tuoi fedeli, che rechiamo questi rami in onore di Cristo trionfante, di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone ».

La croce, segno del cristiano

Alla quarta di quaresima di quest’anno B sentiremo nel Vangelo dire: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo” (Gv 3,14). La croce è il simbolo radicale e primordiale per i cristiani; ma è anche uno dei pochi simboli universali, comuni a tutte le confessioni. Ogni celebrazione eucaristica comincia e termina con il segno di croce.

Eppure la croce, in origine, è uno strumento di supplizio, forse il più crudele che mai sia stato inventato dalla cattiveria umana; la croce è un scandalo, e probabilmente questo è il motivo per cui, nei primi secoli, i cristiani non hanno avuto il coraggio di rappresentare il Crocifisso. Le prime rappresentazioni pittoriche o scultoree della croce presentano un Cristo glorioso, con lunga tunica e corona regale: è in croce, ma come il Vincitore, il Risorto.

E’ a partire da Costantino («In hoc signo vinces»: con questo segno vincerai), che andrà sempre aumentando l’attenzione dei cristiani verso la croce.

Abituati come siamo a vedere la croce in chiesa o nelle nostre case, a portarla al collo, o a vedere gli sportivi che, prima di una competizione, si tracciano un segno di croce, più come scaramanzia che come gesto di fede, rischiamo di dimenticare che la croce è un vero pulpito, dal quale Cristo continua a spiegarci la grande lezione del cristianesimo.

Ed ecco allora perché la seconda lettura della domenica delle Palme ci presenta una delle più antiche preghiere liturgiche cristiane, che S. Paolo, scrivendo ai cristiani della comunità di Filippi, riprende. Cristo era Dio, ma non ha considerato questo un privilegio e ha deciso di spogliarsi di tutto per condividere la sua vita con l’ultimo degli uomini e ha dato tutto fino a salire sulla croce. Dio Padre ha approvato questa scelta e l’ha fatto Signore del cielo e della terra.

La vita cristiana inizia con il segno di croce fatto nel battesimo: è il segno che il cristiano è ‘marchiato’ dalla croce, dal sangue di Cristo, è proprietà di Cristo; ed è chiamato a percorrere la stessa strada: ‘se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt. 16,24).

 

Le Quarantore

 Una delle espressioni che caratterizzano l’ingresso nella Settimana Santa (dal pomeriggio della domenica delle Palme fino al martedì in alcune comunità), è l’adorazione eucaristica prolungata chiamata “le quarantore”.

In molte comunità cristiane, la pratica delle Quarantore viene vissuta con grande cura e notevole dispendio di forze. Sproporzionato, però, spesso, rispetto a quanto la comunità stessa è chiamata a vivere con il triduo pasquale.

Storicamente la pratica delle Quarantore, si richiama ad un passo di sant’Agostino, che calcola in quaranta le ore in cui il corpo di Gesù giacque nel sepolcro.

In qualche parrocchia, notando come la settimana santa sia, anzitutto, già carica di momenti significativi, e in secondo luogo vista la tentazione di molti cristiani di dare più importanza alle quarantore che alla partecipazione al triduo pasquale, si è pensato di spostare questa pratica dai primi giorni della settimana santa ai giorni che precedono la solennità del Corpo e Sangue di Cristo (Corpus Domini), festa appunto legata alla presenza eucaristica. Si tratta di una scelta delicata, perché tocca una tradizione assai radicata nella sensibilità popolare, ma da tenere comunque in considerazione. Perché oggi si rischia di mettere sullo stesso piano (o addirittura di invertirne le proporzioni) momenti di preghiera, pur importanti, come l’adorazione eucaristica, e le liturgie della settimana santa che sono il punto culminante di tutto l’anno liturgico e della liturgia cristiana.

Se i cristiani corrono per le Quarantore, ma poi non partecipano all’intera celebrazione del Triduo Pasquale, questo è il sintomo di una distorsione preoccupante nell’espressione della nostra fede.

La scelta di spostare le Quarantore in altra data è caldeggiata da più parti, ma non per un deprezzamento dell’adorazione quanto, al contrario, per dare alla stessa, attraverso una collocazione più adeguata, una maggiore efficacia e soprattutto per aiutare i cristiani a concentrare l’attenzione sull’essenziale di questi giorni: la passione, morte e risurrezione di Cristo, sorgente della vita cristiana e della nostra salvezza.

Vi ricordato, tra l’altro, che la Settimana Santa offre comunque momenti preziosi di adorazione (es. a conclusione della Messa in Coena Domini, la sera del Giovedì santo) e di veglia (il venerdì e il sabato santo sono giorni ideali per questo scopo). E che la preghiera davanti all’Eucaristia non è l’unica possibile. Durante la settimana santa, per esempio, è possibile e opportuno  pregare a lungo davanti alla croce…

 In questi ultimi anni (dal 2014), papa Francesco ha proposto le 24 ore per il Signore. Nel messaggio per la quaresima di quest’anno il papa scrive: «Una occasione propizia sarà anche quest’anno l’iniziativa “24 ore per il Signore”, che invita a celebrare il Sacramento della Riconciliazione in un contesto di adorazione eucaristica. Nel 2018 essa si svolgerà venerdì 9 e sabato 10 marzo, ispirandosi alle parole del Salmo 130,4: «Presso di te è il perdono». In ogni diocesi, almeno una chiesa rimarrà aperta per 24 ore consecutive, offrendo la possibilità della preghiera di adorazione e della Confessione sacramentale».

In Cattedrale a Vicenza abbiamo fatto la scelta non delle 24 ore di fila (diventava difficoltoso gestire la notte) e abbiamo optato per iniziare il venerdì mattina, vivere la preghiera fino alla mezzanotte del venerdì  e poi riprendere il sabato mattina chiudendo con il vespro verso le 17/ 17,30, così da fare spazio alla successiva messa di ingresso nella V di quaresima). Per vivere le 24 ore per il Signore abbiamo tolto l’esperienza delle 40 ore in settimana santa, anche perché avrebbe avuto caratteristiche praticamente identiche , ed eravamo sono 15 gg. dopo.

 

– Festa delle palme/ulivi e passione di Cristo: due elementi contrastanti?

 Al rito gioioso dell’ulivo fa seguito una messa che non ha nulla di particolare se non la lettura della passione che prende il posto della normale e senz’altro più breve pagina evangelica domenicale. Il problema è che spesso questa messa prende un tono piuttosto triste e dove, quindi,  i rami di ulivo diventano quasi imbarazzanti.

E’ importante far percepire l’unità esistente in questo duplice rito (palme/passione) che celebra un re che regna dalla croce.

 La celebrazione delle Palme ha un unico obiettivo: aiutarci ad entrare nel modo migliore nella Pasqua. Ogni anno meditiamo la testimonianza della Passione offertaci da uno degli evangelisti sinottici (cioè Matteo, Marco e Luca).

E’ importante ricordare che questo racconto (la Passione), all’inizio, costituiva tutto il Vangelo. Ed è sempre stato chiamato Vangelo, cioè lieta notizia.

Questo significa che c’è un solo modo di affrontare la passione: quello di leggervi una notizia di gioia, anzi ‘la’ notizia che dà gioia. Solo che si tratta di una gioia che ci arriva attraverso una via paradossale: la croce. Ma sta proprio qui il cuore della nostra fede. Tutto quello che in questo giorno la liturgia ci propone non ha nulla a che fare con il luttuoso: il colore è il rosso, il colore che ricorda la morte del martire e la sua vittoria. Le palme e i rami d’ulivo sono da sempre segni popolari di vittoria.

E non va dimenticato che è domenica, e come tutte le domeniche dell’anno celebra  la risurrezione del Signore, la sua vittoria.

Il racconto della Passione ha sottolineato il fatto che Cristo ottiene la vittoria attraverso la sofferenza e la morte.

Al centro della attenzione si può così collocare la croce: il venerdì santo ci sarà l’occasione per vivere un momento di profonda adorazione della croce; il giorno delle palme siamo invitati ad imparare a guardarla con il giusto sguardo.

La croce è il segno del cristiano  non come segno di morte, come patibolo, ma perché in Gesù essa è diventata la sorgente della salvezza. La croce, legno di morte, in Gesù è diventata albero di vita. E’ il ritratto più completo che Gesù ci ha fatto del Padre: la croce dice amore senza freni, amore senza limite, senza ritegno. “Così Dio ha amato il mondo”. Nella croce ci ha dettato la misura dell’amore che è amare senza misura.

Così, iniziamo la settimana santa mettendoci in cammino con Gesù verso la Pasqua facendo festa alla croce.

 

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